Montalbano e la realtà

Così nascono i miei gialli

Frequentemente mi capita di incontrare persone che mi fanno domande di questo tipo: “Ma come fai ad inventarti tutte quelle storie che racconti?” Certe volte mi viene da rispondere con un’altra domanda: “Ma li leggi mai i giornali? Non ci ragioni su una notizia?”

Mi provo, per maggiore chiarezza, a inventarmi un racconto. O almeno la storia di un disperato signore sessantenne imprenditore di interessi svariati che vanno dall’edilizia alla metalmeccanica. Possiede anche, e questa nel racconto rappresenta l’immancabile vena ironica, un’azienda per l’allevamento degli struzzi.

“Che c’è di tanto divertente?” voi vi domanderete. Beh, intanto gli struzzi sono quegli animali che usano nascondere la testa sotto terra e così si mettono in condizioni di non vedere e di non sentire. Naturalmente questo signore non sa dire di no a certe offerte politiche, diventa consigliere provinciale di un partito, poi presidente di una U.S.L. Quindi incappa in una inchiesta che due P.M. stanno conducendo e gli piomba sulle spalle niente di meno che un mandato di arresto. Che però non viene mai eseguito, perchè il capo dei due P.M. si oppone all’arresto. Questo capo aveva visto giusto negando l’arresto, tant’è vero che il mio protagonista, cioè l’imprenditore, se la cavò al processo, con l’assoluzione. Se il capo dei P.M. avesse aderito alla richiesta dei due vice, avremmo avuto un innocente in carcere. A questo punto nel quale tutto sembra chiaro, io mi faccio venire una bella, addirittura pirandelliana idea: mi invento che il capo dei P.M. quello che ha salvato dalla galera il mio eroe, venga accusato di concorso in associazione mafiosa, processato, sospeso dal servizio e condannato a dieci anni. Nel corso del mio racconto mi guarderò bene dallo spiegare se quel giudice al momento di decidere sull’arresto del mio protagonista stesse agendo da complice o da giudice onesto. Così è se vi pare, direbbe Pirandello. E io, umilmente mi associo. Andiamo avanti. Il mio protagonista imprenditore, intanto continua nella sua fortunata attività. Possiede una trentina di camion, svariati terreni, trenta e passa appartamenti. Insomma a farla breve, un capitale che supera venticinque miliardi. Certo non tutte le proprietà sono a lui intestate (come farebbe a star dietro a tutte pover’uomo), ma anche alla moglie e ai figli un brutto giorno però comincia la sfortuna. I soliti P.M. (non i primi due, altri) indaga oggi indaga domani e giungono alla conclusione che la ricchezza del mio protagonista sia risultato di operazioni illecite e siccome questa volta non c’è un provvidenziale capo dei P.M. che gli eviti l’arresto, il povero imprenditore va a finire in galera. Colpevole o innocente non ci interessa.

E dato che dalle parti dei miei genitori c’è un proverbio molto espressivo, nel mio racconto lo voglio adoperare. Dice così: “al’annigatu petri d’incoddru”. Che significa disgrazia su disgrazia, non solo stai annegando, ma ti lapidano per buon peso. E infatti al mio eroe arriva tra capo e collo un provvedimento della sezione Prevenzione che gli sequestra tutti i beni.

E qui mi pare arrivato il momento di inserire nel mio racconto una nota decisamente grottesca capace di far sorridere chi mi legge. Cosa posso andare ad inventarmi? Ah ecco ho trovato, anche se a qualcuno la mia modesta invenzione può apparire stiracchiata ed esagerata. M’invento che per la creazione e l’attività di una stazione dell’arma dei carabinieri, non essendo possibile fabbricarne una ex –novo si affitti una costruzione da adibire a caserma. Quando l’ufficiale giudiziario si mette all’opera per sequestrare i beni del mio protagonista, si viene a trovare davanti alla caserma, perché, almeno per la metà, esso è di proprietà dell’imprenditore che si trova in galera. In parole povere i carabinieri, o chi per essi, pagando mensilmente il fitto contribuivano, senza saperlo e naturalmente senza volerlo, l’accrescimento delle fortune del mio eroe. Tutto qui. Mi sembra una bella storia che a ricerchio via scrivendo, l’importante che la trama regga. Solo che questa storia non me la sono inventata. L’ho letta tale e quale sul giornale. E per ciò non venite più a domandare come faccio a inventarmi, le storie che racconto. Non me le invento, semmai le rielaboro fino a non farle riconoscere più come notizie di cronaca.

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